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Aprilis

di Hirpus

 

APRILIS ab aperire è mese in cui il mondo germina, si schiude portando alla luce i frutti della Manifestazione. L’atto dello schiudersi è dinamismo vitale, inno alla vita stessa (a-perire, non morire): apertura è positiva reazione, e non mera passività, nei confronti della morte, nel segno di VENVS GENITRIX dispensatrice di Amor id est A-Mors, Madre di Roma Aeterna, Genitrice della Gens Iulia rinnovatrice dell’Urbe e propagatrice dell’Imperium.  

In quanto mese in cui ha inizio la schiusura dei semi della Manifestazione, Aprilis vede il Ciclo dispiegarsi prevalentemente attraverso festività in onore di Divinità femminili o comunque legate alla dimensione ctonia;  esso è un “canto della Dea e per la Dea” (Kal. Victrix MMDCCLIX a.V.c., cit.) snodantesi per trenta giorni qualitativamente pregni di sacralità.

Alle Kalendae (VENERALIA) matronae e puellae propiziano Venus Verticordia, Venere “che volge i cuori” (convertendoli alla Virtus), elevando preghiere ed effettuando abluzioni rituali col capo incoronato di mirto; specularmente, nello stesso giorno le donne di bassa condizione e le meretrici (ossia “quis uittae longaque uestis abest”, Ov., Fasti IV, 134) compiono abluzioni presso le terme maschili in onore di Fortuna Virilis. Anche la Dea partecipa in effigie alla catarsi, venendo il suo simulacro spogliato degli ornamenti e sottoposta ad una lauatio rituale.

Il 4 (Pridie Nonas) si apre la lunga serie di Ludi che caratterizzano il mese come il più ricco di Giochi in onore degli Dei. Si propizia in questo giorno e nei successivi la Magna Mater Deum, Cybele, con solenni banchetti rituali (mutitationes) per quanto attiene la dimensione privata del culto; con i Ludi Megalesiaci o Megalenses per quanto concerne la dimensione pubblica. Il culto della Magna Mater Deum assume una valenza notevole e per certi versi peculiare nell’economia dell’Anno Sacro romano: caratterizzata ab origine da un culto sostanzialmente aristocratico, la Dea fu accolta a seguito del responso dei Libri Sibillini sul Palatino, vale a dire nello stesso Pomerium, pur essendo teoricamente alienigena. Non in questi termini posero la questione i Patres, i quali anzi videro sempre nella Dea una Divinità nazionale: è solo in quest’ottica che possiamo comprendere il perchè di un gesto tanto inusuale quanto l’erezione di un Tempio dedicato a Cybele all’interno del Recinto primigenio, previa “catarsi” di quegli elementi cultuali non compatibili con la peculiare disposizione della Gente romana nei confronti del Divino (e che furono invece lasciati sostanzialmente intatti in relazione al culto reso alla stessa Dea nell’altro Tempio a Lei dedicato, non a caso sito extra pomerium).  

Se da una parte le Nonae sono dedicate al culto di Fortuna Publica Citerior sul Colle di Quirinus e le Idi vedono la propiziazione pubblica e privata di Iuppiter Victor et Libertas, dall’altra l’11 (III Idus), chiudendo il ciclo dedicato alla Dea berecinzia, prelude ai Ludi in onore di Ceres (Ludi Ceriales) della durata di otto giorni. Si tratta di una festività molto sentita dalla plebs che vi prende attivamente parte, quasi in antitesi (apparente) con le festività dedicate alla Madre Idea contraddistinte perlopiù dal culto reso alla Dea dai Patricii: sembra (come si può notare anche nei culti ‘dicotomici’ di Venus Verticordia e Fortuna Virilis delle Kalendae) di scorgere qui un ulteriore esempio di quell’idea di Bilanciamento ed Equilibrio sottesa a mo’ di bordone dal mese di Venere, con la contrapposizione ideale, ma nel quadro di una ‘conciliazione cosmica’, tra plebe e Patriziato (polo ‘negativo’ e polo ‘positivo’ della Res Publica Populi Romani).

I Ludi Ceriales trovano un sigillo nei CEREALIA del 19 (XIII Kal., NP), in cui le donne in regime di digiuno e con veste candida onorano l’antica Divinità italica, dotata di un proprio flamen, unitamente a Liber e Libera nel Tempio loro consacrato sull’Aventino; in questo giorno si svolge un rituale di difficile decifrazione, avendo luogo nel Circo una corsa di volpi al cui dorso sono attaccate delle torce accese, rito che Dùmezil (La Religione, cit., pag. 329) è propenso, sia pur col beneficio del dubbio, ad inquadrare in un contesto ideale di fecondazione e lustrazione con riferimento “alle spighe in formazione, dopo l’uscita dal terreno”. In parallelo, si consideri la festività dei ROBIGALIA del 25 (VII Kal.) in cui si scongiura il Dio Robigus di tenere lontana la ruggine dal grano. Non è senza rilievo l’osservazione da taluno effettuata tempo addietro circa il fatto che una delle più grandi disfatte dell’Italia moderna abbia trovato attuazione in questo giorno, che il Kalendarium caratterizza come Nefastus Purus (o Publicus) e consacrato al culto reso a fini apotropaici nei confronti di una Divinità “malvagia”, ipotesi rara nella Religio dei Maggiori nostri.

Ma i Cerealia sono preceduti dai FORDICIDIA del 15 (XVII Kal., NP), festività di particolare importanza in quanto prodromica ai rituali della seconda metà del mese nel segno di Pales e Flora. In questo giorno si ha l’offerta delle Fordae Boues a Tellus da parte dei Pontifices: alla Terra gravida si sacrificano vacche gravide con un rituale particolarmente cruento, il che può essere indicativo della sua rilevante antichità. Al termine del sacrificio, le Vergini Vestali prelevano le ceneri che saranno utilizzate nelle PALILIA (o Parilia) del 21 (XI Kal., NP), DIES NATALIS VRBIS.

In questo giorno la tradizione vuole sia stata fondata Roma con la tracciatura del Pomerium ad opera di Romulus Rex et Pater. Roma nasce come viene inaugurato un campo: con l’aratura, affinché come quello sia foriera di messi copiose alla sua Gente. Il simbolismo agricolo ben si connette, e non a caso, alla Divinità propiziata in questo giorno, Pales, antichissima Divinità italica la radice del cui nome rimanda al Palatium, Colle ove la cratofania marziale prese forma concreta nella originaria Roma Quadrata.

Pales è Divinità particolarmente cara ai pastori, e, more traditum, pastori erano i Divini Gemelli. Ovidio (Fasti IV, 731-734) ci dà una descrizione dei riti effettuati in onore della Dea tra i quali assume un particolare rilievo lo spargimento delle ceneri raccolte dalle Vergini Vestali in occasione dei Fordicidia in suffumigi ricavati anche da sangue di cavallo e steli di fave prive di frutti. La valenza prettamente magica di questi riti che affondano le proprie radici nella Notte dei tempi è evidente: si propizia la Dea dopo aver celebrato la Magna Mater Deum, Ceres e Tellus affinché con naturale gradualità si compia a tutti i livelli il processo per cui il seme dà il suo frutto.

È il cuore dell’Esoterismo romano: con l’ingresso di Sol in Taurus (20, XII Kal.) si compie la messa a terra (Orma) del Nume con la “quadratura circolare” (Kal. Victrix MMDCCLIX a.V.c., cit.) di Roma-Amor, figlia prediletta di Mars e Venus, Dea, quest’ultima, agente proprio attraverso i vincoli occulti di Amor, potenza di vita ed apertura massima. Come evidenziato da Salvatore C. Ruta nell’essenziale saggio “Venus, una Dea Romana” (La Cittadella, Anno II, nuova serie, n° 7, MMDCCLV a.V.c.), Venus si venera, a Lei si chiede la uenia, “forma di cortesia” che si spera di ricevere dalla Dea cercando di rendersela propizia, senza negoziazione bensì accattivandosela, pur essendo qui assente la dimensione devozionale, ‘bhaktica’, posponendosi espressamente nelle formulae a ueneror il verbo precor: “Venus è in sostanza sia il ‘fascino’ che la captatio, la ‘cattura’”...

La potenza venusiana è potenza che incanta, seduce, incatena dolcemente. Essa scorre nel uinum, bevanda inebriante sacra alla figlia di Giove propiziata nell’aspetto di Venus Ericina Libitina dalle meretrici, maestre nelle arti dell’amore profano ergo naturalmente devote alla Dea in questo suo aspetto, nello stesso giorno (23, IX Kal., NP, VINALIA PRIORA) in cui al Padre degli Dei e degli Uomini si liba il vino nuovo (calpar) in un clima festoso in cui per l’aria si spande “l’effetto liberatorio dell’estasi amorosa.” (Kal. Victrix, cit.)

È l’effondersi della vitalità, la diffusione sottile ma efficace, delicata ma forte dello spirito vivificante di rigenerazione, che trova la sua esplosione nella gaia licenziosità dei pubblici riti (28, IV Kal., NP, FLORALIA: evidenziamo il dato curioso e ‘fatale’ dell’assunzione del Pontificato Massimo da parte del Divo Augusto in questo stesso giorno nell’anno 741 della Fondazione) in onore di Flora, uis semper florens che è segno distintivo della Romanitas, cui non fa torto chi la concepisca come un flusso perenne che per vie sottili, spesso sfuggenti all’occhio umano, si trasfonde in ogni epoca in coloro i quali siano in grado di farsi veicolo dell’Eterno. La Romanità come Idea filtrata e messa a terra da Uomini e Donne cui non difettino Virtus e Dignitas, Aequanimitas e Pietas pure nel più oscuro dei tempi: così fu fatta Roma Urbe in un mitico 21 Aprile che vide un Uomo, una Stirpe squarciare il velo del Tempo per riconnettersi, hic et nunc in Mundo, al Principio di ogni cosa tracciando il Solco che segna la potenza ordinatrice in perenne espansione secondo norme ben definite ed inderogabili poiché espressione dei Fata Iouis cui nessuno, pur essendo dotato di Libertas, può sottrarsi poiché fata uolentem ducunt nolentem trahunt. Non è questa ottica fatalista bensì fatale, poiché come ricorda Platone nella Repubblica: “esiste un Ordine fissato nei cieli per chiunque voglia vederlo ed avendolo visto, conformarvisi in se stesso”.

Questa è l’essenza della Romanità perpetuamente rigenerantesi nel quadro flessibile ma rigido dei Decreti del Fato e nel segno di Flora, Dea misteriosa il cui sorriso allusivo cela forse il Segreto di tutti i segreti.

Essa infatti è “ potenza Beatrice a chi vi si unisce, a chi la vede ‘nuda’ dà saturazione di vita trasfigurata.” (Kal. Victrix, cit.)

  

“AUGURE


Manifesto è dunque: Amor - essere - ROMA.
Se tutte move, ed incede, le create cose...
legge si è - Amor - dell'universa vita...
così, un tanto Nome, a noi prèdice:
dono di regno e potestà sovra ogni terra,
e dello spirito, e d'imperio.

[…]

Di significati cinque:
E'... 'l Nome palese, latore, con l'occulto:
Chiama
la Città: Valentia... Ròbure... Virtù!
e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!
Vostra - nei nomi vostri - oh Re! suoi fondatori...
Come del grande Rumon: URBE:
la Città del Fiume!

(Pausa.)
Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,
in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani.
Mirifici! donando Nomi nove:
in quattro occulti ed un - Medio - Palese,
e quando, nove, siamo al Rito.”

 

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Ignis, in Rumon - Sacrae Romae Origines (ed. Libri del Graal), Carme Terzo.

 

 

 

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