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Lo sport e gli europei, una vecchia storia

di Harm Wulf

L’antichità europea attesta l’importanza accordata al corpo (e la sua celebrazione quasi liturgica fatta dallo sport) presso i nostri antenati, importanza legata alle nozioni di competizione e di gioco.

 

Alcuni valori radicati nella psiche indo-europea

 

Nell’Iliade troviamo la prima menzione dei giochi sportivi propri dei greci. In onore di Patroclo, ucciso mentre combatteva contro i troiani, Achille organizza una strana cerimonia funebre durante la quale i guerrieri si affrontano al fine di onorare la memoria del prode che non è più in vita. A Olimpia, nel 776 a .C., iniziano i primi giochi ellenici, giochi agonistici di carattere sacro, messi in atto per rinnovare il patto tra gli dei dell’Olimpo e le città greche, che delegano dei campioni perché combattano in loro onore. Questi giochi illustrano numerosi valori radicati nella psiche indo-europea: l’esaltazione della salute fisica, il gusto per la competizione, il desiderio di superare se stessi, l’idea che l’aspetto fisico sia il riflesso del nostro essere interiore, il rispetto dell’avversario, l’apologia dell’energia vitale, l’unità profonda in un comune senso del bello, il rifiuto dell’utilitarismo. Per l’antico greco lo sport è parte integrante della sua stessa vita. Inoltre è un’arte che, come tutte le arti, dipende dall’armonia. Le prove, corsa a piedi, salto, disco, giavellotto, lotta, “pancrazio” (presso gli antichi greci, gara sportiva in cui si univano pugilato e lotta), sono destinate a forgiare uno sportivo perfetto, condizione preliminare dell’uomo completo. (1)

A Roma lo sport è concepito dalle origini in un’ottica differente. Per questi soldati-contadini, gli esercizi sono principalmente un allenamento alla vita militare. Catone il vecchio fa insegnare a suo figlio come utilizzare tutte le armi, come sopportare il freddo, come attraversare un fiume a nuoto, etc. Nel circo i giochi sono principalmente di combattimento. Ma appare allora il tipo umano dello spettatore sportivo: mentre i patrizi, i cavalieri e anche gli imperatori non disdegnano di scendere nell’arena e di frequentare terme e palestre, la plebe si accontenta di un ruolo contemplativo: non intende partecipare, esige però “panem et circenses”(2).

 

Il diavolo in corpo

 

Al contrario dell’antico spirito eroico sportivo degli europei, la tradizione biblica ha costantemente condannato il corpo e di conseguenza lo sport. E’ a causa di una competizione organizzata il giorno del sabato ebraico che il tempio viene distrutto. Per i maestri talmudisti (studiosi del Talmud, libro ebraico a carattere giuridico- precettistico), lo sport è “bitoul zeman”, tempo perso, e H.I. Marrou nella sua “Storia dell’educazione nell’antichità” nota che: “Adottare  le abitudini di coloro che non sono ebrei corrisponde essenzialmente ad esercitarsi nudi su un campo sportivo”. La tradizione ebraico-cristiana si atterrà fedelmente a questo sentimento di repulsione del corpo svestito dello sportivo, rafforzandolo fino a sviluppare una vera dottrina di rifiuto del corpo.

Avversione per il corpo, che imprigiona l’anima, per lo sport, per ciò che è bello, per il nudo e per il piacere - origini di dannazione: si organizza una società preoccupata unicamente non di perpetuare la propria specie ma di essere pronta per il giudizio finale. Pregare, piangere, gemere, aspettare, macerarsi nei lamenti, ecco le parole d’ordine lanciate da questi “emigrati dall’interno” per far crollare, attaccandolo alle sue basi, l’Impero. Alcuni imperatori opportunamente convertiti fecero il resto, e il divieto di praticare attività sportive fu decretato. Allora, Tertulliano lanciava l’anatema: “palaestra diaboli negotium”, la palestra è opera del diavolo. Nel 393 un editto di Teodosio, proibendo le feste pagane, mette al bando i giochi olimpici ormai moribondi: l’universalismo romano dettava legge agli dei d’Olimpo e Pindaro era morto senza successori. Nel 475, per ordine di Teodosio II, il capolavoro di Fidia, la statua di Zeus Olimpico, è distrutto. Triste vittoria degli iconoclasti…

Il velo cade sullo sport, sul corpo, sulla statuaria. Per molto tempo non ci si preoccupa che di formazione morale e spirituale. tuttavia con numerose eccezzioni illuminanti: chi sosterrà che la liberazione del sepolcro di Cristo sia stata l’unica ragione delle crociate? Bisogna considerarla anche come una spedizione espansionistica messa in atto da principi desiderosi di battersi, di ottenere degli imperi, di vivere avventurosamente.  

 

Arringa in difesa dell’uomo completo

 

La lettura degli autori profani antichi suscitò nel Rinascimento una riscoperta dello sport e del corpo libero. Leggiamo Rabelais: “Gargantua lottava, correva, saltava, superava un fossato con un balzo, nuotava nell’acqua profonda, attraversava tutto il fiume con una mano in aria nella quale teneva un libro senza bagnarlo. In particolare era capace poi di saltare in fretta da un cavallo su un altro, e teneva sempre la lancia in pugno. Giocava inoltre alla “pile trigone”, esercitando con grazia il corpo come aveva precedentemente esercitato  l’animo”. Montagne rincara: “Non è un’anima, non è un corpo che si educa, è un uomo; non bisogna esercitarli l’uno senza l’altro, ma guidarli allo stesso modo, come una coppia di cavalli attaccati allo stesso timone di un carro”. Mens sana in corpore sano (3): sembra che si torni verso sane concezioni dell’educazione, ma l’importanza di questa rivalutazione fisica è stata minima e riservata, ancora una volta, ad un’élite desiderosa di occupare il suo ozio in sfide, duelli, caccia ed esercizi militari.

La rinascita dello sport inizia in Europa sulla scia del movimento nazionalista del XIX secolo. La glorificazione della Nazione del romanticismo promossa dai suoi esponenti – che riprendono l’idea del pioniere F. L. Jahn (1778 - 1852) (4) – porta alla nascita di organizzazioni sportive in cui si fortificava il corpo per fortificare la Nazione. Riproposto da studenti di ideologia rivoluzionaria, il movimento sportivo non è senza ambiguità: le stesse che si ritrovano nel ritorno in auge dello spirito delle olimpiadi e nella concezione del suo rinnovatore, Pierre de Frédi, barone de Coubertin. Quest’anziano ufficiale, infiammato da ideali guerrieri e nazionalisti, concepisce tuttavia i giochi come l’immagine effimera della pace mondiale che potrebbe portare una migliore comprensione tra i popoli. Per fare ciò, concede un valore mondiale a certi sport, a discapito dei giochi dei diversi popoli, ma anche delle discipline specifiche di certe etnie europee.

I pensatori non egualitaristi non restano insensibili alla rinascita dello sport. Maurras assiste ai primi giochi in Grecia. Montherlant, sportivo completo, compone “Les Olympiques” e glorifica la corrida, sport virile dove l’uomo è solo di fronte alla morte. Julius Evola pratica l’alpinismo, che gli darà l’ispirazione per un’opera notevole, “Meditazioni delle vette”.   Ma è nei Paesi totalitari che lo sport e il culto del corpo sono spinti fino alla loro sopravvalutazione: a spese dell’immagine molle del borghese adiposo, a favore del “milite del lavoro” che idealizzano le statue care ai regimi nazista e sovietico (cfr Arno Breker vedi  

http://arno.breker.free.fr/ e

http://www.werner-steinbach.de/wuppertal/historie/breker/breker-index.html

  e Wera Muchina vedi

http://www.fembio.org/frauen-biographie/vera-muchina.shtml).

 

Lo sport snaturato

 

A partire dal 1936, la tentazione di politicizzare i giochi si affermerà fino ai giochi di Mosca del 1980. Spoliticizzati poi in modo radicale, i giochi olimpici diventeranno un’immensa operazione finanziaria. La regola del dilettantismo è lettera morta e una medaglia si prepara con molto tempo d’anticipo, nei ministeri e nei laboratori, tanto quanto negli stadi lo sportivo è trasformato in cartellone pubblicitario che esalta un prodotto. Il corpo non è più mortificato in quanto fonte di impudicizia ma in quanto merce. Con i mass media il cittadino panciuto, che segue un incontro alla tv, bevendo un pastis, si dichiara sportivo con la stessa passione di quello che frequenta lo stadio, il ring, etc. Dopo tutto non ci illudiamo: uno studio de “ La Sofres ” mostra che soltanto il 20% dei francesi dichiara di praticare uno sport. E che tipi di sport! Le risposte sono sintomatiche dalla prima risposta data ai divertimenti nel tempo libero: discesa libera sugli sci, windsurf, ping-pong, body building, tennis, etc.; “sport” che ricordano la frase di Gilbert Proteau: “Si può convalidare una lega del gioco del Mondo (gioco per bambini), una sede distrettuale di croquet, o un comitato di bocce. Tutte queste attività non sono che distrazioni. Lo sport è altro”. Bisogna anche dire che lo sport non è preso sul serio, che non è compreso se non come distrazione e relax, e che la ricerca di rilassamento ha eliminato ogni nozione di sforzo e, a maggior ragione, ogni volontà di vincere se stessi. Dopo una breve rinascita (Coubertin, Hébert), ecco dunque spuntare una nuova eclissi del corpo, e spiriti malaticci che si spingono a gomitate per macchiare col loro odio la bellezza e la forza vitale. Alcuni settimanali parigini condannano “l’elitarismo sportivo così profondamente impregnato della teoria del superamento di se stessi, che regna sugli stadi pieni di questa statue muscolose dalla potenza inquietante”. Due pedagoghi progressisti, Y. Domange e J. P. Audrain, decretano che “lo sport è la legalizzazione dell’aggressività, la codificazione della violenza contro gli altri o contro se stessi”.

 

Le basi di un’etica

 

Perchè le anime belle, che vegliano così scrupolosamente affinché non ci facciamo del male, non condannano le indecenti caricature che sono le moderne olimpiadi, ma piuttosto la generosità, il donarsi e la competizione come segni di potenza? Perchè non condannano la Babele dell’economia, ma lo sportivo che ha il rispetto di se stesso? A cosa servono dei begli abiti se il corpo si rovina? I nemici del corpo, per viltà, pigrizia o conformismo, raggiungono nella loro avversione i loro autentici padri spirituali. Dobbiamo a S. Agostino questa forte condanna dell’uomo e dei suoi istinti: “Bisogna arrossire di questa passione, e di queste membra che si muovono da sole. Le si chiama vergognose perché non esistevano prima del peccato dell’uomo: il marito poteva fecondare la sua sposa in tutta tranquillità di spirito e senza perversione del corpo”. In quei tempi benedetti, Odone di Cluny qualificava la donna come “sacco d’escrementi”. In quell’epoca di sogno, Abelardo veniva evirato per la sua passione totalizzante per Eloisa. Ecco la vera filiazione di questi “progressisti” che non rispettano se stessi e che hanno rinunciato alla dignità del loro corpo. L’ideale sportivo, olimpico, è tutt’altra cosa. E’ “il culto volontario e abituale dello sforzo muscolare intenso, basato sul desiderio di progresso e che può arrivare fino al rischio” (Coubertin). L’inglese Thomas Arnold lo definiva come “una competizione ludica che procura una formazione morale per mezzo di una formazione fisica”. Ecco chi ci deve permettere di capire meglio il temperamento, il mordente impiegati dagli inglesi nelle loro imprese sportive. Con gli inglesi abbiamo in comune molti sport d’essenza celtica ma con la Grecia abbiamo in comune tutta un’etica.

J. Delorme ce lo ricorda: “E’ a Olimpia che si è diffusa la pratica della nudità nell’atletica. Introdotta nelle palestre, ha dato agli scultori il gusto della bellezza armoniosa dei corpi, e l’ideale di lealtà e di eccellenza che animava i concorrenti ha gettato le basi di un’etica”.

Arthur Honegger ha scritto: “Dallo sforzo sportivo nasce una sorta di suono di voci, qualcosa come un inno di gioia e di forza, un inno silenzioso di potenza”. E questo inno potrebbe davvero assicurarci, per un futuro che dobbiamo preparare, il ritorno di Pan, di Apollo, degli dei dell’Olimpo e dei giochi autentici.

da Jeune dissidence in 

http://www.voxnr.com/cogit_content/documents/

LesportetlesEuropensunevie.shtml

(1)"L'Agon (la competizione) è una delle creazioni più originali e significative della cultura greca. Senza di esso (l'Agon) la vita degli elleni nei tempi più antichi si può a mala pena immaginare. La ginnastica, che formava il suo significato originario, lo rese l'esercizio abituale di un popolo giovane che si rallegrava della sua forza ed abilità. In esso si espresse l'intera pienezza della vita, la salute, il senso di potenza, il piacere autenticamente greco della bellezza e dell'armonia della forma." in Oswald Spengler, Eraclito, Ed. Settimo Sigillo, s. d., pag. 37

(2) "Panem et circenses" in Giovenale, satire; X, 81, Ed. Mondadori, Milano, 1990 pag. 378 - 379"...la gente si è scaricata dalle preoccupazioni politiche; quel popolo che un tempo dava comando militare, fasci, legioni, tutto, ora si è messo da solo le briglie ed ansioso prega di avere solo due cose: pane e giochi." Pane e divertimenti erano, secondo Giovenale, tutto ciò che desiderava ormai il decaduto popolo romano.

(3) in realtà Giovenale afferma: "Orandum est ut sit mens sana in corpore sano." Satire X, 356 cioè "Bisogna pregare (gli Dei) che sana sia la volontà in un corpo sano." Satire, X, 356 Ed. Mondadori, Milano, 1990 pag. 392 - 393

(4) su F. L. Jahn vedi l'articolo di Harm Wulf al sito http://www.alchemica.it/radicivolkish.html 

Traduzione, note ed illustrazioni a cura di Harm Wulf

Gerhard Keil, Turner (Ginnasti), e Turnerinnen (Ginnaste), Gemaeldegalerie Neue Meister, Dresden.  

Immagini tratte dal libro di Hans Surén "Mensch und Sonne" Verlag Scherl, Berlin, 1936 

  

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